A cura di Giuseppe Caprotti, Presidente dell’Advisory Board di ONILAB
La “discountizzazione” sta portando ad un peggioramento della qualità del cibo: aumentano i consumi di cibo confezionato che, essendo cibo ultra trasformato, incrementa il rischio di contrarre malattie come il cancro. In questo contesto il governo ha stanziato un fondo per la sovranità alimentare. In questo articolo non parlerò di politica agricola comune (PAC) o di investimenti legati al Pnrr, temi che per complessità e vastità meritano un luogo di discussione maggiormente idoneo, ma mi concentrerò sulla vera domanda di fondo, ovvero cosa sia veramente il Made in Italy e soprattutto che tipo di etichettatura si possa usare per delimitarlo.
Made in Italy significa fatto in Italia con ingredienti 100% italiani o semplicemente prodotti trasformati in Italia?
Purtroppo di 100% italiano c’è solo la DOP.
Tanti anni fa, per valorizzare il Made in Italy feci mettere delle bandierine sui prodotti “Made in Italy”: La storia inizia nel 1999, con il logo «prodotto in Italia» (= lavorato in Italia) su alcuni prodotti Esselunga Bio. Questa etichettatura all’epoca aveva un senso ma ormai si trovano i loghi più disparati, con immagini diverse l’una dall’altra.
C’è il “grano 100% italiano”, il logo dei risicoltori italiani e il “Prodotto italiano” che, purtroppo, non vuol dire assolutamente nulla; perchè un conto è una certificazione (es.: DOP o IGP) , un conto sono delle definizioni commerciali come queste che avete appena visto.
“Prodotto italiano” fa parte di questa categoria. Il cibo italiano al 100% è un mito e bisogna stare molto attenti perchè l’apparenza inganna : la bresaola, ad esempio, è fatta con carne di zebù brasiliano. Il Governo si è proposto di dare “una nuova identità forte e solida alle filiere agroalimentari italiane”; si tratta di una dichiarazione sensata anche alla luce del fatto che i prodotti pseudo italiani “italian sounding” dilagano e, per inciso, fanno comodo a molti, anche in Italia.
Ma cosa è dunque possibile fare in concreto? I conti devono tornare: gli aumenti di listino motivati e realistici devono essere applicati e le pratiche sleali devono cessare. Sul rispetto delle regole dovrebbe vegliare l’ ICQRF è un ente che dipende dal Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare ma l’ICQRF è una struttura che non ha il controllo del territorio, come ha dimostrato – ad esempio – lo scandalo di Prosciuttopoli.
Occorre tutelare l’anello debole della filiera, ovvero gli agricoltori, ed essere attenti su temi come l’etichettatura: la UE deciderà in merito a breve e l’Italia dovrebbe farsi trovare unita sull’argomento così come sul macrotema ambiente: la situazione è disastrosa e gli effetti del cambiamento climatico si ripercuoteranno sull’inflazione e sulla qualità del cibo con l’esito che più manca il cibo, più i prezzi salgono, più la qualità scende. È un circolo vizioso.
In conclusione aspettiamo i fatti concreti di questo governo ma, per ora, Il Fondo per la sovranità alimentare sembra una mancia, senza visione d’insieme.
La sovranità ha un senso anche perché più chiarezza e più trasparenza significano maggior tutela della SALUTE degli italiani ma aspettiamo un progetto a lungo termine.
La modernizzazione non basta, bisogna tutelare le aziende e controllarle, evitando, ad esempio, scandali come quello appena avvenuto dove sono morte 4 persone per listeria.
In questa vicenda il Ministero della Salute (Roberto Speranza Ministro) non ha gestito al meglio la delicatissima situazione.
Più che esercitare una qualunque “sovranità” il governo italiano dovrebbe quindi cercare di tutelare produttori e consumatori italiani.
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